In ambienti di non grandi dimensioni, come è il caso di soggiorni o camere di abitazioni, la riproduzione dei suoni di frequenza prossima al limite inferiore di udibilità, segnatamente fissato per prassi consolidata a 20 Hz, è piuttosto difficoltosa per note ragioni di origine fisica.
Difatti, la massa d’aria che deve essere spostata per poter dare origine al fenomeno percettivo è talmente consistente da richiedere, al fine dell’ottenimento di una adeguata qualità di riproduzione, il ricorso a diffusori acustici di dimensioni non trascurabili.
D’altra parte, il conseguente non trascurabile impatto estetico non è sempre ritenuto accettabile e quand’anche lo fosse non di rado subentrano problemi di disposizione legati all’ingombro dei sistemi di altoparlanti.
Una soluzione che in quest’ultimo caso può risultare opportuna consiste nel ricorso a diffusori acustici “specializzati”, ovverosia in grado di sostenere il ruolo della riproduzione delle componenti sonore la cui frequenza è compresa all’interno di intervalli prefissati. Si avranno così unità per la riproduzione dei bassi (20-150 Hz), dette subwoofer, e unità per la riproduzione dei medio-alti (150-20.000 Hz), dette anche satelliti.
Soluzioni in cui la frequenza di transizione tra subwoofer e satelliti è posta a frequenze più elevate dei menzionati 150 Hz, aventi lo scopo di ridurre ai minimi termini le dimensioni delle unità satellite, risultano fortemente penalizzanti sotto il profilo della restituzione di una immagine sonora plausibile, quando non addirittura sul piano timbrico.
Contando sulla scarsa capacità percettiva nella localizzazione di sorgenti sonore che emettono onde sonore di bassa frequenza, l’unità subwoofer può essere collocata in ambiente con una certa libertà, differentemente dai satelliti che viceversa in impianti ad elevate prestazioni richiedono un posizionamento piuttosto accurato.
Per questo stesso motivo, ad uno stesso subwoofer può essere richiesta la contemporanea riproduzione delle componenti di frequenze gravi convenientemente estratte dai vari canali audio dell’impianto, 2 se si tratta di stereofonia, 5, 6 o anche 7 se si tratta di perifonia a indirizzo home cinema.
IO ogni caso, rimane irrisolto il problema dell’ingombro del subwoofer che non può essere certamente ridotto alle dimensioni di una scatola di scarpe da tennis.
Le strategie che in tale frangente si mettono in atto quando non si vuole rinunciare ad una riproduzione sonora di qualità, sono tipicamente due: nascondere alla vista o esibire (figure 1 e 2).
Dato che il posizionamento di un subwoofer, come detto, è piuttosto libero da vincoli di configurazione d’ascolto, è piuttosto difficile prevedere:
– le caratteristiche dell’acustica dell’ambiente dove verrà fatto funzionare;
– quale sarà il livello di uscita acustica che ad esso verrà richiesto in sede di installazione.
Questo senza voler considerare i gusti musicali e le preferenze percettive dell’ascoltatore.
È pertanto prassi comune che un tale sistema di altoparlanti sia dotato di un proprio amplificatore (ciò che porta al concetto di subwoofer attivo), in modo da poter ottenere l’effetto desiderato regolandone il volume.
Unitamente ai circuiti di amplificazione, oltre al volume, in un subwoofer attivo sono disponibili altresì regolazioni di vario genere tra cui la frequenza di taglio superiore e la fase, che devono essere scelte in modo da realizzare una corretta “fusione” con la risposta in frequenza dei satelliti.